Moretto

 

                  

                         

 Capitò tutto casualmente, ma quella volta fu un fatto che rimase per sempre nella coscienza del cagnolino Moretto. Non che lui fosse piccolo di età: era solo piccolo di taglia, di corporatura. E il fatto che lo avessero chiamato Moretto era stato perché era scuro di pelo, non scuro scuro, solo qua e là scuretto.

Lui non era un cane di quelli che chiamano “di razza”,  ma a Luigi era piaciuto assai quando, qualche tempo prima, lo aveva raccolto dalla strada e accolto a casa sua.

Era stato un bel giorno quel giorno per il cagnolino! Per la prima volta non s’era dovuto cibare di avanzi razzolati per strada, e aveva potuto mangiare a sazietà.

Una  sensazione questa,  che gli aveva riportato alla mente quella vaga e lontana di quando, appena cucciolo, alle poppe di sua madre, sentiva il latte scorrerne.

A questo pensiero un palpabile senso di beatitudine gli avvolse la mente, mescolato alla tristezza. Perché gli era stata portata via?! Già, chissà perché.

E,…  perché era dovuto finire a quella sua vita randagia? Moretto frugava nei ricordi ora. La vita non era stata benigna con lui!

Di Luigi però, Moretto era del tutto contento perché Luigi gli dava da mangiare, ma non gli aveva tolto la libertà. E questa sarebbe stata una cosa che non avrebbe potuto sopportare: la libertà era l’unica cosa grande della sua vita, pensava. Ne era convinto.

Aveva conosciuto un cane di quelli alti e grassi, un giorno. Se ne stava dietro al cancello di una villa, aveva il pelo lucido ed un collare, ancora più lucido, agganciato una lunga catena. Lo aveva visto così ben pasciuto  che si era fermato a parlargli, con la speranza che gli avesse offerto qualcosa da mangiare.

Ma poiché chi è sazio non capisce chi è digiuno, il grosso cagnone si mostrò più interessato a parlare di sé stesso che ai problemi di Moretto. Così aveva cominciato a sciorinare che i cani grandi,specialmente quelli belli, come lui senz’altro riteneva di essere, trovano la massima buona ventura quando vengono adottati dagli uomini. E che in cambio loro, i cani belli, erano orgogliosi di badare alle case ed alle cose degli uomini, salvaguardandole dai ladri.

Per questo loro si erano guadagnati il nome di cani da guardia, e lui si sentiva ottimo anche come cane da guardia. E pensava di ben meritarsi tutto il buon cibo che gli veniva dato. Certo, doveva stare al guinzaglio e spesso alla catena, però,…

A questo punto Moretto aveva preferito continuare a sentire il brontolio del proprio stomaco vuoto piuttosto che il vaniloquio del cagnone, e si era allontanato. Dopotutto a lui non sembrava proprio per niente una buona ventura stare alla catena o essere confinato dietro ad un cancello,… E poi,…. il suo di pelo, è  vero, era un poco arruffato, poco curato, ma quante volte si era sentito dire lo stesso: “Guarda che bel cagnolino!” E qualcuno gli aveva dato anche da mangiare!

E poi Luigi lo aveva voluto, noh? Luigi, mica avrebbe preso un cane brutto!

A tutto questo andava pensando Moretto, appisolato sulla spiaggia, all’ombra di un barcone con la chiglia un poco nell’acqua e un po’ sulla sabbia della spiaggia.

L’onda del mare ogni tanto arrivava, gli lambiva il pelo e lo rinfrescava; mentre a poca distanza, lì sugli scogli, c’era Luigi. Lo vedeva, lo guardava e gli sembrava sereno:  seduto su uno scoglio, guardava il mare, forse l’orizzonte: così stava tranquillo anche lui, al fresco del barcone.

 

                      

 

In quella, un granchio, un piccolo granchio si avanzò tra la spuma e la rena della battigia, con la sua andatura sbieca e la sua grande chela davanti a sé. Proprio la chela agitò quando, avvicinandosi, si sentì addosso l’ombra di Moretto, e  si fermò a considerare  l’ostacolo che il cane poneva al suo passaggio solito.

Il cane sollevò pigramente una palpebra, scrutò il granchio e decise he era un amico: con il caldo che faceva non era il caso di fare problemi di viabilità! Quindi, senza neanche presentazioni, comunicò al granchio di non preoccuparsi perché lui stava giusto per spostarsi. Come poteva vedere,aveva infatti appena pensato di raggiungere il suo amico Luigi.

Che era lì, eccolo! Si poteva scorgere:  lì sugli scogli! Anzi sarebbe stato  contento di farglielo conoscere!!

Si fissarono bene per un po’ le due bestiole:  valutavano l’opportunità di fare questa cosa. Poi il granchio soffermò appena gli occhi verso Luigi, e lento e silenzioso si avviò.

 

                       

 

Moretto, contento che la sua proposta fosse stata accettata, adeguava i suoi passi a quelli del granchio, camminandogli avanti e indietro, con fantasiose volute. E intanto gli raccontava di sé.

Eccetto che nelle favole gli animali amano stare con animali della stessa specie. Anche perché diversamente potrebbe essere pericoloso! Prendiamo il caso di un erbivoro e di un carnivoro affamato troppo vicini! Capita comunque che animali di specie diverse stringano subito amicizie: e questo è quello che capitò al nostro granchio e a Moretto. Che intanto procedevano in quella strana maniera, con l’andirivieni del cane, a disegnare pazzi  passi di danza sulla sabbia bagnata.

“Ciao Moretto!”  Disse Luigi appena lo ebbe vicino. “Vedo che hai trovato compagnia; è un tuo nuovo amico? Oh, si….. di certo lo è! “

Moretto scodinzolò allegramente, fissando il granchio, che alzò u po’ la chela, si soffermò brevemente e poi, più lento del solito si immerse nell’acqua degli scogli, insieme al ricordo di quella inusuale giornata.

Il cane invece, balzò sugli scogli ad abbracciare quell’altro suo amico, quello umano, che lo aveva accolto un giorno, spinto solo dal sentimento. Senza chiedergli niente se non la sua libera compagnia. E lui, Moretto, ricambiava il sentimento, facendosi premura di mostrarlo, a suo modo, quando si accorgeva che Luigi ne aveva bisogno.

“Ehi, … Moretto,… guardi la mia lenza posata a terra? Sai?… Non avevo voglia di pescare. Ho visto che stavi laggiù all’ombra del barcone, tranquillo con i tuoi pensieri: ti ho invidiato e ho voluto fare la stessa cosa. Però ho notato anche che tu avevi trovato compagnia. E sono  sicuro che per questo sei venuto a dare un po’ di compagnia anche a me. È vero?”

Moretto si  fece un po’ indietro, e poi gli si riversò di nuovo dolcemente addosso, con la testa sul cuore. E così restarono a guardare il mare. A vedere i giochi di luce sulle onde e ad immaginare i misteri delle sue profondità.

Quando l’orizzonte segò quasi in mezzo il tondo del sole che andava calando, i due presero ad andare verso casa.

“C’è da preparare la pappa caro mio, ed ho cose  buone per te: lo sai… mi piace trattarti bene,…… sei un buon compagno,…”

 

Suonarono proprio bene quelle parole, sia al cuore sia allo stomaco di Moretto, che si accostò ancora un poco alle gambe di Luigi, e non solo per meglio adeguarsi al suo passo. Se lo sentiva dentro che erano una bella coppia!

Era tanto contento di passeggiare vicino a Luigi, che negò anche il più piccolo inseguimento ad un bel gattone accucciato sul muretto di una villa, con gli occhi gialli puntati su di lui e i muscoli pronti alla fuga più veloce. Intanto Luigi gli diceva : “Lo sai a cosa pensavo lì su quegli scogli? Che non c’era nessuno insieme a me, eppure non mi sentivo solo. Sarà stato per il suono del mare che, come si dice, tiene compagnia, o forse per la luce del cielo,… chi lo sa? Ma… forse sei proprio tu che lo sai meglio di me come succedono queste cose, Moretto!” Lui gli volse uno sguardo fugace, interrogativo ma fugace. Il tono di Luigi era calmo, tranquillo, e questo a Moretto bastava. Certe domande degli uomini gli suonavano strane.

Quindi, preso da cose più urgenti e concrete, si accostò ad un albero del viale che stavano percorrendo, lasciò un po’ di pipì e riprese a camminare. E Luigi riprese a parlare :”Io non so bene cosa ne pensi tu, ma io credo che uno si senta solo, ma proprio solo, soltanto quando si sente superfluo”. Gli occhi di Moretto sembravano convinti, e a Luigi parve che il cane gli stesse  dando ragione. E questo gli diede impulso a continuare: “Guarda,… se ti senti inutile,… quasi quasi è meglio che sentirsi superfluo. Magari non sei indispensabile, non sei necessario , non sei neanche utile, ma almeno non sei un di più! Quelle volte sì che ti senti come certe cose che, quando ti accorgi che ci sono, le butti! È brutto, eh,….? Sai che ti dico!? Vorrei che ci fosse un corso per imparare  la comunicazione dei cani per sapere proprio cosa ne pensi”. Poi Luigi, temendo di annoiare il cane con le sue elucubrazioni, restò in silenzio fino a casa.

La cena fu frugale, ma buona, per entrambi.

Poi, mentre Luigi leggeva , Moretto gli stava sdraiato vicino facendo brevi uscite, fuori dalla stanza, in un piccolo giardino. Lì lo raggiunse Luigi per guardare il cielo stellato prima di andare a dormire. Riebbe il desiderio di comunicare con il cane, ma fu breve. “Pare che questa sia una di quelle volte che rimani a dormire qui in casa”, disse piegandosi ad abbracciare il suo cucciolone, che aveva deciso di tenergli compagnia.

“Pensi che mi stessi sentendo solo su quello scoglio? No, non mi sentivo solo e neanche  superfluo! Buonanotte! ”. Moretto si addormentò presto e tranquillo, con i suoi sogni.